mercoledì 1 febbraio 2012

“Il Verbo uccidere”, racconto breve col fiato in gola di Giuseppe Merico da Bologna


Orizzonti lontani, di Margherita Davì
Se devi sboccare vai nel cesso. - Si abbottona la camicia di flanella, la camicia a quadri, guarda dalla finestra, guarda le famiglie nei parchi, in tutti i parchi di tutte le città. Decide di lasciare la città verso sera. Fa il pieno alla macchina e guarda quel poco di sole che è rimasto nel bicchiere. Non crede a sua moglie quando le dice che un giorno tornerà, con queste parole, un giorno tornerò. Non capisce nemmeno le voci nella testa e i proiettili. Quando nacque nel deserto pensò di essere un serpente. Poi quando crebbe capì di essere una merda. Quella che gli prese il cazzo in mano non sapeva che farsene. Era stato a New Orleans e a Seattle una volta, quando suo padre era ancora vivo. E questa gli prese il cazzo in mano. Mangiarono hamburgher al formaggio e passeggiarono per le vie del centro. Non gli disse neanche che aveva un bell'attrezzo.

- Se devi sboccare vai nel cesso, ho detto!

- Mi sono uscite certe strane macchie sulla pelle...

- Cosa ci fai ancora a letto?

- C'era questo blues che suonava e poi ho finito le birre e ti ho aspettato per tutto il giorno...

Quando le spara si ricorda di quand'era piccolo e di sua madre che lo accompagnava alle giostre e come giravano le astronavi, si ricorda di come giravano, ma quando le spara è uccidere la parola madre che lo riempie di assoluta potenza.

- Vieni da mamma, lecca la figa di mamma...

Quando le spara, il proiettile è il verbo che scrive la parola uccidere e tante altre cose, ma ora non ci pensa più. Ama guidare e se la gode, la strada continua a perdita d'occhio, le nuvole sono come schiacciate, come piatte.

Verso l'orizzonte, di Mauro Carbonetta

Nessun commento:

Posta un commento