domenica 22 gennaio 2012

"Stazione Piramide, un giorno di marzo", racconto di Claudio Arzani, inedito

L'attesa, olio su tela di Sandro Marasco

Attese l'apertura delle porte della vettura, ancora esitante: "oh, accidenti, ora smettila di fare la stupida", pensò decidendo di non scendere, di restare saldamente ancorata alle certezze d'una vita da tempo definita. 
Un marito, Ennio, generoso di tutte le attenzioni che potesse desiderare, Antonio ormai alla fine della leva col lavoro assicurato ed Elena, la 'piccola' Elena quasi sedicenne, bravissima al liceo.
Che cosa l'aveva spinta a lasciare quel biglietto, due parole, "Mi piaci", sulla scrivania di quell'uomo che nemmeno conosceva? Forse voglia di giocare, forse la certezza che lui, tanto, non avrebbe capito.
Pensò, ridendo di sé stessa, alla paura d'essere scoperta mentre s'intrufolava nella stanza vuota, all'impulso irrefrenabile di scrivere quel messaggio un po’ infantile, alla soddisfazione che l’aveva pervasa mentre lasciava un po’ trafelata il corridoio degli ambulatori dell'ASL, quella stessa gratificante soddisfazione che l'accompagnò sull'ascensore, tre piani più su, fino all'ufficio notarile dove lavorava dall'inizio dell'anno.
Un gioco di bimba a quarantun anni, forse il rifiuto inconscio di invecchiare. Che fosse quello? Un recondito bisogno di fuggire dal consueto, dal quotidiano, dalle illusioni svanite allo svanire della gioventù?
Psicologia da baraccone, aveva fatto spallucce, la bischerata era già finita, lui non avrebbe mai saputo di lei punto e basta.
Due giorni dopo, due parole, lo stesso biglietto, "Anche tu", lo trovò sulla scrivania, sporgente dall'agenda, e  rischiò il collasso. Si sentì avvampare, avvolta in una fiamma rossa, di vergogna, di disagio, e in fondo, massì, di soddisfazione, di piacevole civetteria.
Sul retro del biglietto, un appuntamento, "alle 18, alla Stazione Piramide del metrò". Sufficientemente lontano da casa, da amici, conoscenti, "dalla mia gente".
Non andare, non sei più una collegiale, si era ripetuta mille volte nella giornata, eppure proprio così si sentiva, come ventanni prima, coi libri sotto il braccio all'uscita da scuola, e avrebbe fulminato il notaio che - proprio alle 17 - l'aveva chiamata nello studio per "fare il punto del lavoro".
Per fortuna durò poco - ma a lei parve un'eternità - e con una corsa affannosa era riuscita a salire sul treno delle 17 e venti.
Guardò l'orologio, le 18 erano passate da sette minuti, ma lui certo era lì, da qualche parte sulla banchina sotterranea ad aspettare. Ma ormai aveva scelto, no, non sarebbe scesa.
"Allora signora, ci sbrighiamo?", l'apostrofò una voce seccata alle spalle. Stava proprio sul mezzo dell'uscita, impedendo il passaggio.
.    
Si ritrovò fuori meccanicamente, spinta più che decisa, un istante prima della chiusura delle porte, della partenza del convoglio.
Lui, fu lui a vederla, ad avvicinarsi mentre il metrò ripartiva lasciandoli soli. Impacciato non meno di quanto fosse imbarazzata lei, ma sorrideva.
Le sorrideva, con gli occhi, si sentì avvolta da una dolcezza che non ricordava dal tempo del liceo.
Mentre la banchina tornava a popolarsi in attesa del convoglio successivo si sedettero sulle poltroncine depositarie di decine di messaggi d'amore tracciati col pennarello.
Un po’ parlando, un po’ osservando i due operai della manutenzione comunale che, poco distante, stavano studiando -con tempi da moviola - un'infiltrazione d'acqua dal soffitto del tunnel.
Quanto tempo passò? Un'eternità. In realtà non più di venti minuti: sufficienti per ridarsi appuntamento per l'indomani, "stessa ora, se puoi", le disse lui.
E  lei si scoprì a pensare, "ti amo".
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"Bisogna essere deficienti", sbottò inviperito l'uomo alle sue spalle, passando a destra, urtandola in malo modo per uscire, per scendere dalla vettura..
Appena in tempo.
Scorrendo le porte del treno si rinchiusero.
Sentì gli occhi inumidirsi.
"Sì, ti amo", sussurrò, e per quello non era scesa, per non giocare, per restare adulta.
Non poteva.
Ma una lacrima si, una piccola, salata lacrima a racchiudere un gioco allegro, una brezza di primavera, un istante.
Col cuore sì.
Ma lei no, lei non era scesa.
Riaprì gli occhi, con la mano rassettò la gonna del completo blu indossato per piacere a lui, si sentì percorsa da un brivido, "chissà che sapore avranno i suoi baci".
Domani.
Domani ti bacerò”.
Sorrise, sì, era felice.
Il convoglio ripartì tuffandosi nel buio del tunnel.
Due operai della manutenzione comunale, presa una scala, stavano togliendo un pannello dal soffitto della stazione.

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