lunedì 23 gennaio 2012

"La morte cammina dolce sui binari della ferrovia", resoconti di cronaca 2006, di Claudio Arzani

Rotaie 2, olio su tela di Sabrina Ortolani

La sua era una vita tranquilla, non c’erano ragioni evidenti per togliersi la vita. Nessun biglietto nella sua abitazione, ad Alseno, lungo la via Emilia tra Parma e Piacenza, che spieghi le ragioni del gesto.
Gli agenti della polizia ferroviaria di Piacenza dovranno stabilire attraverso quale percorso la 58enne venerdi 20 ottobre ha raggiunto la stazione e i binari. Saranno anche effettuati controlli sul suo cellulare per capire con chi ha parlato nelle ultime ore di vita: una procedura di rito in casi come questo.
A travolgere la donna, venerdi alle 19 e 52, nei pressi della stazione di Fiorenzuola, è stato il convoglio regionale 33804 proveniente da Rimini.
I macchinisti hanno riferito che in quel momento la visibilità era scarsa: hanno visto qualcosa muoversi sui binari e hanno pensato ad un animale. Un attimo dopo, illuminata dai fanali della motrice, si è stagliata sui binari la figura di una persona: una donna che camminava nella stessa direzione del treno.
Non è stato possibilie evitare l’impatto.
La 58enne è stata travolta mentre dava le spalle al convoglio.
La Procura della Repubblica lavora sull’ipotesi del suicidio.

Venti ore dopo, sabato, pochi chilometri più avanti, a Cadeo, un’altra tragedia, un’altra esistenza che si chiude con un gesto disperato. Un artigiano 38enne di Pontenure poco prima delle 16 di sabato 21 ottobre si è tolto la vita gettandosi contro un treno merci diretto a Piacenza.
I macchinisti si sono  improvvisamente trovati di fronte una persona sui binari e a nulla è servito il disperato tentativo di bloccare il convoglio. L’uomo è stato investito in pieno e il suo corpo sbalzato a trenta metri dal punto dell’impatto.
Il 38enne aveva raggiunto la ferrovia in macchina, dalla via Emilia aveva imboccato via Sant’Anna, alle porte di Cadeo, una strada che arriva a ridosso della ferrovia.
L’auto è stata parcheggiata alla base di una antenna per la telefonia mobile. Era aperta, ma a bordo non era stato lasciato nulla che possa aiutare a capire le ragioni del gesto estremo.
Gli accertamenti da parte degli uomini della polizia ferroviaria si sono conclusi intorno alle 18, quando l’impresa funebre ha recuperato la salma.
In un primo tempo la linea è stata interrotta. Successivamente il traffico ferroviario è stato regolato a senso unico alternato sull’unico binario rimasto funzionante e i treni superavano a velocità ridotta il punto dove  erano al lavoro gli agenti della polfer e il personale delle ferrovie.
La conseguenza è stata l’accumularsi di forti ritardi, Molti treni sono arrivati  alla stazione di Piacenza 30-40 minuti dopo l’orario previsto e in qualche caso  il ritardo è stato di oltre un’ora.


 La liberazione dal dolore: diritto di scelta? 


“La morte cammina dolce sui binari della ferrovia” non è un vero racconto: ho riportato per ampi stralci gli articoli pubblicati sul quotidiano Libertà a firma (pm) relativi ai due suicidi che hanno caratterizzato le giornate di venerdi e sabato scorso sui binari tra Parma e Piacenza, determinando conseguenze sui tempi del traffico di collegamento tra nord e sud e viceversa.

Quello che in particolare mi ha colpito, in temi di discussione sull’eutanasia, sul diritto alla dolce morte, è la freddezza, la determinazione. Della donna che “cammina nella stessa direzione del convoglio”, del giovane artigiano che si “getta contro il treno merci” dopo aver lasciato, correttamente parcheggiata, la macchina.

Credo che la vita sia un valore assoluto, che nessun uomo possa disporre della vita altrui, che la vita sia un bene nelle mani di quell’entità superiore (comunque si chiami) che della vita ci ha fatto dono.

Ma, di fronte a tanta determinazione, di fronte alla disperazione, al dolore che di certo ha accompagnato gli ultimi istanti delle due persone, molte certezze vengono meno.

Tornano alla mente le lacrime di zio Maurizio, ferroviere macchinista che, immobile nel letto,  supplicava di chiedere al medico di por fine alle sue ormai inutili sofferenze, di sradicare la vita e quel mostro che divorava carne e viscere tra dolori lancinanti, insopportabili.

Era stato operato, tutto bene, aveva guadagnato dieci anni di vita, di speranza, la certezza che il mostro era stato sconfitto.


Non era vero.

Si ripresentò, devastante.

Inutile ogni cura.

Per due anni terribili, fino alla morte, fino all’ultimo giorno.

Tra spasmi, dolori lancinanti, punture di morfina sempre meno efficaci.

Immobile a letto.


Senza alcuna possibilità di andare incontro a sorella morte, sulla linea ferroviaria dove aveva passato la vita.

Supplicando una mano per trovare pace e liberazione dal dolore. 

Supplicando una pietosa puntura, l’unico farmaco efficace.

Invano.


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