venerdì 27 gennaio 2012

“Il lago e lo spaventapasseri”, racconto breve di Giuseppe Merico da Bologna

Wood duck, oil on canvas by Jack Barnhill

Si avvicinò al bordo del lago e se ne stette lì a guardarlo. C'erano le anatre coi loro colori che decollavano dall'acqua, dove il lago non era ghiacciato. Si ricordò di una cosa grumosa e ispida come una palla di pelo, all'interno c'erano il lavoro, i giorni della settimana, la postura di quelli che odiava e le parole cattive. Scacciò via il pensiero e lo gettò nel lago, il ghiaccio si ruppe con un suono di ossa spezzate. Più in là c'era un tramonto silenzioso: il sole scivolava rosso attraverso il canneto. Guardò ancora un po' la mota che ne se stava sul bordo, gli parve di vedere un pesce morto, seccato. Guardò meglio ma il pesce non c'era. Poi di colpo lo spaventapasseri gli sorrise. Lui ricambiò il sorriso, si guardò le scarpe sporche di fango e riprese a camminare lungo la strada pensando alla parola "per sempre". Quando rientrò a casa, sua moglie se ne stava in un angolo, vicino alla finestra, piangeva. Lui le chiese cosa fosse accaduto, lei rispose che la tazza di sua madre, quella che le aveva lasciato sua madre prima di morire- quella con il castoro disegnato da una parte- si era rotta. Sua moglie se ne stava lì con i cocci sparsi per terra e non aveva il coraggio di raccoglierli, perchè pensava che se lo avesse fatto, tutto ciò che le rimaneva di sua madre sarebbe andato perduto in un posto buio. Lui la abbracciò, lei continuò con il suo pianto sommesso. Fuori dalla finestra lo spaventapasseri guardava i due mentre i cani randagi abbaiavano e la notte si apprestava con calma a uccidere ogni cosa.

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