sabato 11 febbraio 2012

“Un incontro per caso”, fiaba di Silvana Trabanelli di Ferrara, dal blog “Amor ca’ nullo amato (poesia e non)” [24/01/2010]

Ali d'angelo, olio su tela, di Daniela Baldo

Una sera passeggiando lungo un viale alberato e poco illuminato, immersa
nei miei pensieri, accadde qualcosa che cambiò la mia vita.
Mi sembrò un sogno quel che vedevo, uno di quei sogni che ne farai uno
in tutta la tua vita. Sembrano reali e ti fanno svegliare nel cuore
della notte tutta sudata. Sogni , che ti cambiano la vita, e se non lo fanno, quantomeno ti fanno riflettere. Quei sogni che non dimentichi e
non sai perché ma ti restano dentro.- Un'ombra avanzava verso di me,
passò senza nemmeno guardarmi. Mi fermai un attimo. Intorno a me,
i colori della sera tarda si tingevano delle calde tonalità del tramonto.
L’aria profumava del buon odore , che solo chi è attento può sentire.
D'improvviso scese la notte, ed io mi trovai seduta sulla cima
di un monte, e da lontano potevo scorgere le luci della città.
Non capivo, mi rendevo solo conto che la situazione era cambiata...
Non stavo più passeggiando, ero sulla vetta di un monte.
Era tutto fantastico. Sedetti con le gambe rivolte alla valle.
Sotto di me vedevo le luci piccolissime lontane , come tanti
pulviscoli di stelle... Immaginavo i rumori della città. Pensavo che
ogni puntino era una vita, che si portava dietro il proprio bagaglio
di esperienze e ricordi. Migliaia di persone con vite diverse, guidate
tutte da un destino invisibile. Avevo quella sensazione, tutti hanno
quella sensazione quando guardano una città dall’alto. E,
mentre pensavo a queste cose, udii una voce, accanto a me.
«Certo che è proprio uno spettacolo la città, vista da
qui.» Risposi di si, senza voltarmi. La voce continuò.
«Vieni spesso quassù?» «No, questa è la prima
volta.» «Sai, io sono stato su tutti i tetti della città,
ma questo è il posto che preferisco. '' «Non lo so, questo è
il…» M’interruppi, perché lo vidi. Era un ragazzo, o forse una
ragazza, non lo capivo dalla voce ed era in penombra..
Però, ne vedevo il profilo ed era strano… cioè, aveva qualcosa
sulla schiena, qualcosa che sembravano un paio d’ali piumate,
richiuse e bianchissime. «…il… il primo monte che visito.» terminai.
Quello che io vedevo era un angelo, in posizione raccolta distante
non più di due metri da me. Non so se lui capi il mio stupore,
ma continuò a parlare: «Bhe, secondo me, questo è il migliore.
Si vedono le magnificenze umane e loro stessi che ti passano sotto.
Non so perché, ma qui la gente pensa più del solito.» «Pensa?» «Sì.
Non dire che non te ne sei accorta: quello coi capelli brizzolati
pensa al suo lavoro, quel bambino ai giocattoli che non
ha...» Ero impressionata. Diceva le stesse cose che avevo
pensato io un attimo prima! Lo osservavo mentre parlava.
Io non credevo agli angeli, o per lo meno non li immaginavo
con un’aureola o quanto meno illuminati di una vaga fluorescenza.
Questo no, non aveva aureola né era fluorescente.- -
Si era voltato a guardarmi. Vedevo i tratti del suo volto,
con la luce della luna, straordinariamente puliti e candidi.
Non capivo, però, il significato di quella domanda.
«E’… normale, come parliamo io e te. Può essere divertente,
o piacevole, o triste, o puoi anche essere in collera.» Vedevo in lui una
curiosità che lo spingeva a farmi mille domande.
Tuttavia, riusciva a trattenersi. «Piacevole?
Ma capiscono subito quello che gli dici?» «No, non sempre.
E allora devi spiegare meglio quello che non viene capito, e
magari ripeterlo ancora o alla peggio ricominciare da capo.»
L’angelo sembrava deluso. Ma continuava con le domande.
«E le parole? Come sono le parole che ti dicono?» «Come sono
le parole? A volte dure, a volte dolci… ma dipende di cosa
si parla.» «No, le parole… come sono?» «Vuoi dire il tono?»
«No no… le parole… come sono, come sono le loro
parole?» Non sapevo cosa rispondergli, continuavo a non
capire cosa volesse e cosa significassero le sue domande.
Lui si rabbuiò e di fronte al mio sguardo perso voltò il capo verso
il basso, verso la valle, e abortì tutte le domande che aveva in mente.
Poi, sottovoce, sussurrò: «Io non parlerò mai con
loro.» Non commentai. Ne ammiravo l’armonioso profilo.
«Io non posso.» Aveva l’aria triste. Io continuavo a tacere.
«Ho visto tante cose in questo mondo. Ho ammirato e pregato
per le meraviglie del mondo, ho gioito per le conquiste umane.
Ho agito al servizio dell’uomo e da Dio sempre ispirato.
Ma di tutto questo fare e girare, una sola cosa mi è preclusa.
Parlare con un uomo.» «Perché?» «Lo possono fare solo pochi di noi.
Solo gli arcangeli.» Non disse quella parola ma l’idea che ne ebbi
fu questa. Continuò: «C’è un piacere particolare a parlare
con loro, un sottile piacere che non si può descrivere.
Un misto di peccato e purezza. Loro sono la più bella delle
creature ed allo stesso tempo la più impura. Noi non
possiamo parlare con nulla che abbia peccato. A patto di perdere
le ali.» «Perdere le ali?» gli chiesi «che assurdità!» «Eppure, è così.
Perderemmo la capacità di volare. Resteremmo comunque invisibili,
ma saremmo come povere anime vaganti che aspettano il giorno
della chiamata, senza nessuna missione da compiere, con la sola
possibilità di parlare agli uomini senza neanche la certezza
di dire loro cose buone e giuste. No, meglio di no… Non varrebbe più
la pena di vivere.» «Non riesco ad immaginarti senza
ali.» gli dissi francamente. Lui sorrise. Poi, si s'alzò in piedi.
Guardava ancora giù. Poi si volse verso di me. Io ero ancora
seduta. «Grazie, mia cara. E’ stato un piacere parlare con te.»
E detto questo, spiccò un salto nel vuoto. Il tempo sembrò rallentarsi
per la quantità di pensieri che improvvisamente mi invasero la mente.
Era un angelo, sapeva volare, era spettacolare aver parlato con lui e
adesso vederlo spiccare il volo… ero certa di vivere un’esperienza
unica. Però, in quella frazione di secondo non ero tranquilla.
Qualcosa non quadrava. E me ne accorsi solo quando lo vidi
precipitare giù, a piombo, verso la valle giù in basso.
Cadeva guardandomi, sguardo triste, occhi in lacrime,
piccole gocce di pianto brillanti di luce dorata, mani tese, le ali ancora
ripiegate, non le apriva, non poteva. Aveva parlato con me.
«NO!» gli urlai, mentre lo guardavo cadere. «Io sono umana! NO! NO!!»
E lui mi rispose, nella mente. «Lo sapevo.» E piangeva, sussurrando
un addio. Mi svegliai di soprassalto. Ero agitatissima e sudavo. Avevo urlato.
Ancora adesso, nel ripensare a quell’immagine – quella dell’angelo
che cade – provo un senso di colpa e di impotenza disarmante.-
Ero rimasta impressionata.. Il fatto di essere umani,
“la più bella tra le creature ed allo stesso tempo la più impura”,
la condizione che abbiamo tutti, mi faceva stare male.
Cercai di ricordare la strada che vedevo, Ero proprio nella zona dove la
gente pensa… chissà cos’è, poi, che qui ci fa pensare.
Girai l'angolo. Percorsi alcune decine di metri, fra la gente
che passava indifferente e pensierosa. -Certo che- dissi tra me ,
fermandomi -quell’angelo deve aver fatto un bel botto quand’è caduto.-
Senza motivo, mi ero fermata e guardavo in su, l’alto dei palazzi
ed il nero della notte. Restai attonita nel vedere una lunga piuma
bianca scendere dolcemente e posarsi davanti a me, proprio lì,
a dieci centimetri, senza produrre alcun suono.
Con la voce tremante, gemetti: -Sarà… sarà di una colomba…
- Ero impietrita non distoglievo lo sguardo –
''Si, sicuramente sarà di una colomba...'' sì, sarà di una colomba.-




Silvana Trabanelli abita in provincia di Ferrara. Solare, piena di interessi, scrive e pubblica racconti e poesie. Da visitare il suo blog, "Amor ca' nullo amato (poesia e non)" mentre, per lo scaffale della libreria, si segnala la sua silloge 'Ascoltando il vento', Este edition
.

Silloge recensita in literarj

Nessun commento:

Posta un commento